martedì 15 agosto 2017

Senza anestesia.


Feria è uscire per andare in spiaggia e ritrovarsi al concerto di un gruppo rock. É cantare "qué viva España" con degli sconosciuti in Plaza Uncibay. Fermarsi in Calle Larios perché le ragazze di una qualche scuola stanno ballando flamenco sul palco. 

Un post condiviso da Ilaria (@ilaria_luna84) in data:



Feria é scoppiare in lacrime quando un coro popolare canta una canzone dedicata a Málaga (meno male che avevo gli occhiali da sole!). Piangere di nuovo (no, sul serio, cosa mi sta succedendo?) di fronte alla felicità e all'energia di una signora di 96 anni che balla por rumbas. Incrociare per caso i DMEI nello studio in esterna di 101 tv. E alla fine non arrivarci proprio, alla Malagueta, perchè in Plaza Marina c'è un'altra band. E "Oh, questi son bravi, facciamo che mi fermo ancora un po'".




Feria è la giornata stupenda passata al Real con le compagne di flamenco, raggianti nei volant comprati per l'occasione. É mangiare una tapa in ogni caseta. É il cameriere che rovescia la paella adosso a Maria José e allora "Viva los noviosss", perché sempre di riso si tratta. Feria sono le ragazze sedute di lato sui cavalli agghindati. I commenti sui vestiti. I volti inediti. I bambini che giocano a spruzzarsi acqua sotto la fontana. 

É ballare finché hai fiato. Ballare ovunque. Con chiunque. Comunque. É imparare finalmente la terza sevillana - e metá della quarta - rendendosi conto che come per le lingue é solo quando ti butti, e solo sul posto, che le fai davvero tue. É tuffarsi sul letto alle nove di sera, esaurita ma felice, mentre scalci con i piedi per lasciar cadere kili e kili di stoffa sul pavimento. E parli all'abito inzuppato di sudore solo per dirgli grazie di averti cucito addosso una personalità un po' nuova. 

Feria per me è una concatenazione infinita di stimoli che ti riempie l'anima fino a farla traboccare. 



Per questo fatico sempre di più a capire chi la vive solo come un macro-botellón. Nient'altro che un pretesto per bere, bere troppo, bere fino a perdere il controllo. Fino a ridurre la città a uno schifo, tanto da costringermi a ripetere che "di solito non è così" ad una coppia di amici in visita. Perchè me ne vergogno profondamente, di queste pile di spazzatura ai bordi delle strade, del pavimento appiccicoso, dell'odore di alcol, marijuana, pipì e sudore che si respira nell'aria; della gente che vomita negli angoli, delle ragazzine che barcollano con una bottiglia ormai quasi vuota di Gin bevuta a canna. Del sottofondo di sirene della polizia. 

Ché magari sono io che sto invecchiando. In effetti, mi sto rendendo conto che mi piacciono di più le cose che amano le signore un po' attempate che moltissimi giovani. Può essere. Però non capisco - davvero, proprio non mi entra in testa - come si possa VOLER stare male, VOLERSI distruggere, VOLERE il post-sbronza devastante che ti lascia il Cartojal la mattina seguente, togliendoti tutta la voglia di svegliarti un po' prima e goderti gli spettacoli migliori. VOLERE - ecco, soprattutto questo - non ricordare momenti così. 

La Feria, per me, va vissuta di giorno, sotto la luce del sole, senza anestesia.

Perchè giornate come queste sono un'iniezione di gioia totale e purissima che difficilmente sarò in grado di spiegarvi a parole. 

Non c'è alcolico né droga in grado di eguagliarla in alcun modo. 


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