Quello che non vi ho
detto è che non solo domani vado a Madrid, ma tornerò in Italia con una mia amica francese. Il che comporta una serie di conseguenze dirette. Tipo una settimana intensa nell'improvvisato ruolo di
guida turistica o giornate piene da incastrare tipo puzzle a prove di
flamenco in crescendo temporale. Sì, insomma: può darsi che non mi
leggerete per un po'. Per farmi perdonare, peró, prometto di tornare
con tante foto, video e sorprese. Come sempre, del resto. Hasta la vista chicos!
sabato 26 maggio 2012
giovedì 24 maggio 2012
Dieci anni dopo, a Verona.
“...Tra l'altro festeggi anche i
dieci anni di carriera solista”.
Curioso sia tra le poche
cose che percepisco, dalla mia postazione defilata al bar. Le parole
di Cremonini, risposta a una presentatrice che non vedo, m' arrivano
alle orecchie come sillabe indistinte. Colpetti di vocali. Brusio di
consonanti. Suoni cacofonici amplificati da un microfono che propaga
le onde in traiettorie a zig zag. Certo che ce n'è, di gente, qui
alla Fnac.
“Dieci anni? Già?”
Lo shock mi sfugge dalle labbra e dagli occhi, in direzione dello sguardo sempre allegro di Ale.
“Eh sì. Duemiladue”.
E, di colpo, ricordo
quell'incontro di Cesena. L'estate prima della mia maturità.
Ero poco più che una
ragazzina, allora. Una maglietta con i pupazzetti neri, kili in più
nascosti nei miei jeans a campana, e ancora nessunissima idea
dell'amore. Ripenso alle sensazioni che provavo, quando starmene così
lontana dal tizio che ora parla nel microfono sarebbe sembrato un
dramma insolvibile. Probabilmente sarei arrivata qui alle otto di
mattina, come la ragazzina mora incrociata per caso mentre pago il
drink al banco. Quella che si lamenta delle piccole ingiustizie che
nei suoi “m'é passata davanti” ha appena iniziato a scoprire.
Avevo pronunciato a
malapena due parole, in quell'incontro di Cesena. Le labbra cucite da
un'ammirazione incontenibile. Dal sogno che, d'un tratto, iniziava a
farsi realtà. Non era un ragazzo,quello che accanto a me mangiava
tortellini in brodo. Non era, nei miei occhi , neanche un essere
umano. Era Cesare Cremonini, quello che ogni mattina mi fissava dai
posters di camera mia. Era la persona che riusciva a farmi esultare
ogni volta che rispondeva a un mio messaggio sul forum. Era tutti i
miei dischi. Tutta la mia adolescenza formato canzoni. Era, a conti
fatti, poco meno di un Dio.
Dieci anni. E come sono
cambiate le cose. Ora che sono qui, a sudare copiosa in un ambiente
troppo caldo. Alla presentazione di un disco che non sono nemmeno
venuta a far autografare per me. Perché quel brivido, seppur
mitigato dagli anni, ora è per qualcun altro che lo provo. E
l'emozione prima di ogni incontro; la gioia di una risposta a mezzo
web; il cuore gonfio ogni volta che pronuncia il mio nome...Sì:
immagino sia questa, a conti fatti, la sottile differenza tra
un'appassionata ascoltatrice ed una fan. Passa tutta per il tremore
alle gambe. Per il nervosismo prima dei concerti. Per la vita, gli
incontri e i momenti pianificati in funzione di un tour. Ma é
davvero tutto qui, quel che succede? Che poi passano gli anni e ti
limiti alle note? Che l'entusiasmo scema, e tutto il resto diventa
accessorio? E' solo questo? Che la capacità di emozionarti per uno
sguardo o un cenno, semplicemente, di colpo ti abbandona? Voglio
dire: mi succederà pure con Dani?
Perchè mi rendo conto
che mi manca, e non lo so mica se è normale. Guardo Alberta,
l'affetto che esce come petali di rosa (mi perdonino i Sidonie, se
rubo un po' l'immagine) da ogni sua parola nei confronti del
cantante. Della sua gentilezza, della disponibilità con i suoi fans.
Ascolto le chiacchiere frizzanti, aneddoti condivisi tra Ambra ed
Elena. Persone che non conosco, e che in una storia a metà tra
schermo e vita vera hanno applicato alle loro esistenze colorate
piastrelle di allegria . Le osservo, tutte, parlare con il produttore
mentre attendono la fine dell'evento. Non fanno troppo caso, alla mia
proposta di andare subito in stazione. No. Vogliono aspettare, perchè
un cenno di saluto all'artista vale ancora, per loro, un bis di
sorrisi. Come succede a me con un tizio di Madrid. E, sinceramente,
io adesso le invidio.
E' che davvero, eventi
del genere non hanno senso senza quell'emozione. Io sento di averne
bisogno. Sento che mi arricchisce. Sento che...è così, per assurdo
che sembri, a me piace da morire. Ma evidentemente, per quanto mi
sforzi,con Cesare le cose non possono più essere come prima. Ho
passato la fase. Bruciato le tappe, chi lo sa. Non so perchè, ogni
volta che provo a tornare, la mia mente fugge così in fretta al di
là dei Pirenei. E mi sento in colpa. Comunque in colpa, in ogni
caso. Perchè si torna sempre lì, alla fine; alla stessa metafora di
infiniti post. Ché il primo amore, se lo re-incontri a distanza di
anni, risveglia ricordi. Ma mai, in nessun caso, le sensazioni di
prima.
Sono andata a Verona.
Giornata intensa di chiacchiere e treni. Ho comprato due copie dello
stesso disco. E poi, senza volere, c'ho versato sù un bicchiere di
coca cola. Sono andata a Verona, a una presentazione che – eccessi
di gente- non sono riuscita nemmeno ad ascoltare. Ed è stato allora
che il mio turno è arrivato. Ho reincontrato la persona che dieci
anni fa era per me poco meno di un Dio, e mi ha fatto tenerezza
l'idea di quella che ero. Ho parlato in fretta, forse troppo, per non
far ulteriormente inferocire il tizio in ansia temporale
dell'organizzazione. “Veloci, veloci!”, ripeteva in trip da
Bianconiglio di Alice. Incredibile: sono arrivata al punto che non
m'importa nemmeno della foto. Ho raccontato a Cesare di quel
concerto, di quell'appuntamento, di una delle ragioni per cui ero
andata fin lì. “Come si dice, in spagnolo...?”, m'ha chiesto poi
con quel suo accento bolognese. Si diceva quasi uguale, tra l'altro,
ed io mi sono sentita un po' Vanessa Incontrada quando conduceva
Zelig con Bisio. Poi, già che c'ero, la seconda copia. Criccava
d'appiccicaticcio. Spero non si sia chiesto perchè. “Scusa,
com'era il tuo nome che non..?”. “Ilaria”. “Ah, ecco. Grazie
mille, eh?!”
Dieci anni dopo, rivivrò
in un'altra Nazione un'esperienza simile a quella di Cesena. Con lo
stesso entusiasmo. La stessa emozione. Lo stesso identico tremore
alle gambe, sì. Anche se adesso parlo di più e la vita m'ha
insegnato che cantare non ti rende“poco meno di un Dio”. Che le
persone sono persone, solo che alcune fanno un lavoro più in vista
di altre. Che hanno tutte difetti, oltre ad avere pregi. E, a conti
fatti, è proprio tutto qui.
Ma poi io , in fondo, che
ne so, di qual è il modo migliore per vivere la musica! Forse
esistono solo mille modi diversi di integrarla nelle nostre
quotidianità. Forse non è questione di essere fan o appassionate
ascoltatrici. Né tantomeno di età, o di prospettive. Naa. Da anni,
compro i dischi di Cesare originali. E se, per caso, m'imbatto in un
articolo su di lui, non posso fare a meno di leggerlo. Da anni, i
testi delle sue canzoni parlano anche di me.
Con Dani è lo stesso,
solo che in più c'è questa voglia di abbracciarlo e dirgli “grazie”
in loop continuo. In più, c'è il fatto che investo tutti i miei
risparmi per seguirlo in tour. E una forma un po' diversa d'emozione.
C'è tutto un micromondo che mi ha avvolta e che a volte detesto. E
che però, quando non c'è, sento mancarmi da morire.
Eppure, in fondo, credo di aver bisogno di entrambe le prospettive. Di tutte e due le realtà. E forse, chissà...forse è proprio per questo che sogno di vederle,un giorno, fondersi in qualcosa.
lunedì 21 maggio 2012
Conclusioni spicciole di un weekend on Garda Lake.
Sará
per quei suoi spazi aperti. L'alberello dei bambini come fulcro
visuale. O forse sará, invece, tutto merito del marketing, che nelle
sue vetrine smette d'essere teoria. Qualunque sia la ragione, resta
il fatto che Il Leone di Lonato del Garda é uno dei pochi centri
commerciali che amo. Avrei comprato di tutto, una volta in piú. Dal
microfono retró per le conversazioni su skype alla gomma a forma di
fender telecaster, passando per l'intero espositore di gioielli Malú
e un dinosauro soprammobile con sú scritto il mio nome. Meglio: a
dirla tutta, c'era scritto “Ilaria Raptor: allegra e ottimista, sa
quando usare i suoi artigli”. Cioé, capite la gravitá ? Alla fine
– e giuro che non so come – sono riuscita a limitarmi a un
vestitino. Bello, tutto a fiori. Non appena l'ho visto ho capito che
era il look giusto per il concerto privato di Madrid. Certo, sempre
che la smetta di piovere. E che mi avvisino per tempo del luogo. Ché
io capisco le esigenze di privacy, ma inizio ad agitarmi un filino.
Per dire.
Comunque,
un weekend lampo in terre lombarde m'ha lasciato, nell'ordine: tre
buoni per downlad musicali gratis a seguito di spese all'esselunga
(gran promozione, peraltro), un risveglio brusco causa terremoto alle
quattro del mattino, e svariate conclusioni che mi appresto ad
elencare. Del tipo che:
1. La
discoteca non fa piú per me. Concetto corredato da successione di
sbadigli ed infiniti “ho sonno” pronunciati a bordo di un'auto
non mia. Concetto strettamente in relazione, peraltro , alle
problematiche esistenziali delle postille 1a e 1b. Dove 1a sta per “I
tipi che io trovo carini mi si dice siano troppo mori". E 1b. La musica
migliore da ballare é quasi sempre esclusiva dei locali gay.
2. Se hai pazienza, faccia tosta e un amico avvocato, con internet puoi fare tanti di quei soldi che nemmeno te l'immagini. Il tutto senza muoverti da casa , né tantomeno cercare lavoro. Per la serie, inizio a capire l'utilitá del diritto mentre sorseggio del vino nero. Meglio tardi che mai.
3. Realizzare un menú d'effetto per una cena vegetariana, senza aglio e senza cipolla non solo é possibile ma istiga persino l'ingegno creativo. Non ci credete? Allego foto di prova. Ché la Parodi, a Laura e a me, fa un baffo. Ma questo, in fondo, credo anche di averlo giá detto prima.
sabato 19 maggio 2012
Il Galateo della Paella
Ci sono cose che puoi imparare soltanto
a Valencia. Tipo come si la paella andrebbe mangiata davvero. E,
visto che ho di nuovo trascurato la rubrica gastronomica del Venerdì,
scelgo di condividerne con voi i principi basilari. Quelli
raccontatimi da una coppia di amici in una serata tiepida al Barrio
del Carmen. Preparatevi a fare bella figura.
Innanzitutto, il cucchiaio.
Lasciate perdere forchette e coltelli: il piatto più famoso di
Spagna richiede a gran voce il cucchiaio da cucina.
Poi, niente piatto: la paella va
mangiata direttamente dall'apposita padella in cui, nei ristoranti,
ve la serviranno. Vi svelerò una cosa, amici: non è solo
ornamentale.
Una volta adagiata al centro dei
commensali, dovrete dividerla mentalmente in compartimenti. La
porzione che vi spetta di diritto è incorniciata dal triangolo
invisibile che vi sta davanti. Perciò scordatevi di cominciare a
mangiarla dal centro: sarebbe come invadere il territorio altrui. Il
che – ovvio - è segno di grande scortesia. Dopo aver smosso il
riso col cucchiaio, potrete iniziare a degustarla partendo dal bordo
e andando progressivamente verso l'interno.
Ultima curiosità: prima di portarvi il
boccone alla bocca , con l'incavo del cucchiaio rivolto verso di voi,
sarebbe d'uopo sfregare il riso contro la parete della padella
stessa, cosicchè si impregni al meglio di tutti gli altri sapori.
Buon appetito!
giovedì 17 maggio 2012
Lorca: molto piú che abbracci e canzoni.
(continua da qui)
“Ilaria, cómo estás?!”
“Ilaria, cómo estás?!”
Mi
imprime due baci sulle guance, e al solito pare scontato dire che
adesso “ bene”. M'hanno ascoltata, gli altri, quando la sua
silouette é apparsa dietro i vetri opachi. Ormai, nel riconoscerla,
ho raggiunto un livello di esperienza notevole. Cosí ora siamo qui,
nella hall tanto grande quanto dispersiva di un albergo in toni
freddi uguale a molti altri visti prima. L'emigrazione simultanea é
avvenuta in tacito accordo. Un sms sul cellulare accompagna il mio
aggrapparmi alle sue spalle. E, nonostante il caldo, i bicchieri
mezzi pieni restano sul tavolino.
“Sei
un po' stanco di questo tour. Vero, Dani?”, azzarda il papá di
Mar. Tra parentesi, l'unico ad essersi ricordato che quelle coca cole
si dovevano anche pagare. Vabbé.
“Un
pochino, sí.”, ammette abbassando gli occhi, in un accenno di sorriso
timido.
“Si
nota, sinceramente. Ma é normale, in fondo, é tanto tempo che va
avanti”
“E'
che sono, quanto? Un anno e mezzo, ormai!”, si giustifica.
“Quasi
due anni”, non riesco a fare a meno di puntualizzare.
“Ecco,
sí, quasi due anni di tour, tanti kilometri, e iniziano a pesare”
“Ti
meriti un riposo. Fa' le cose con calma e ricarica le batterie”.
L'affermazione
dell'uomo mi provoca un terremoto interno di consenso, approvazione e
tristezza. So che deve finire. Dicevo anche di esserne quasi felice.
Eppure, in quest'istante, vorrei non accadesse mai. E' a pochi metri
da me, e vorrei soltanto dirgli che momenti come questo mi
mancheranno un casino.
“Adesso
i miei piani sono di buttar fuori il disco nuovo per le feste di
Natale del 2013”, ci informa. E, siccome non sono piú in grado di
fingere un briciolo di sanitá mentale, mi scappa un “Uuuh, para mi
cumpleaños! Qué guay!”.
Lui mi
guarda negli occhi, tra il perplesso e il vagamente divertito. Poi
riprende il discorso da dove l'aveva interrotto.
“E
il tour nel 2014. Ma con poche date in Spagna”.
“E
fuori dalla Spagna?”
“Fuori
dalla Spagna, molte di piú”.
Lo dice con tono troppo serio per pensare che abbia colto la mia illusione. Si riferisce all'America Latina, é ovvio. Le altre, peró , hanno capito eccome.
“Adesso é il nostro turno di conoscere Parigi, Roma..”
“No,
Roma no! Venezia, che mi viene piú vicino!”
Continua
a fissarmi con un'espressione strana. Poi, ci informa della sua
leggera fretta.
“Bueno,
chicos. Devo andare che sono d'accordo con un mio amico di berci una
cosa assieme prima di andare al soundcheck. Tra parentesi, dovrebbe
essere qua in giro ma io non lo vedo mica...dove cavolo...?”
“Aspetta,
Dani, possiamo farci qualche foto prima?” , inteviene Mar.
“Hombre,
claro! Cómo no!”
Sto
finalmente rimettendo il cellulare in borsa quando mi accarezza
dolcemente la spalla. Un gesto semplice che nel suo essere inatteso e
immotivato quadruplica di botto il suo valore. Ho giusto il tempo di
alzare gli occhi dalla borsa e ricambiare un sorriso, prima che posi
con Inma e con Mar. Che, in realtá, la foto con me non sarebbe
neppure stata necessaria. Avevo quella del giorno prima, in fondo.
Ma, sebbene non avessi chiesto niente, quando le altre ragazze si
allontanano mi avvolge con un braccio e mi stringe a sé. Il papá di
Mar mi prende la macchina fotografica praticamente dalle mani, mentre
sono troppo frastornata per capirci alcunché. Cioé, piú che
frastornata, rilassata. Ma tantissimo. Appoggio la testa al petto di
Dani ed é come se tutti i kilometri degli ultimi giorni, tutte le
sveglie ad ore antelucane, dessero di colpo mostra di sé. Perché ci
sono ben due flash a cui badare, altrimenti credo che mi
addormenterei.
“Mio
Dio, non so dove guardare, con tutte 'ste macchine fotografiche!”
Nel
dirlo sono seria. Ma lui, chissá perché, si mette a ridere di
gusto. Come se fosse una battuta incredibilmente divertente. Mah. Lo
guardo con due punti interrogativi dipinti negli occhi. Della serie.
“Cacchio ti ridi?!”. Ma poi, per qualche ragione, viene da farlo
anche a me. Anche perché, in effetti, é comico che – in entrambe
le foto – sia io l'unica a guardare sempre in camera. Quello
abituato ai photocall, a onor di logica, dovrebbe essere lui.
“Vabbé,
grazie mille ragazze. Scusatemi, chiamo un attimo il mio amico che
non so dove s'é cacciato!”
“Tranquillo.
Grazie a te. A dopo e...buon viaggio per domani”.
Ha giá
l'orecchio sull'Iphone, quando glielo dico.
“Domani
ho il volo alle nove di mattina. Da Madrid. Dio mio!”
“Duetti
con Tony Bennet, vero?!”, chiede qualcuno.
“Sí,
mi ha chiamato a collaborare in un disco che fa lui con artisti
latini..”
“Ma
canti in spagnolo o in inglese?”, approfitto per domandargli.
“Io
in spagnolo, lui in inglese...Pronto! Oh, ma dove siete?!”
Al
breve silenzio dall'altro lato della cornetta segue un'espressione
leggermente preoccupata.
“E
perché non entrate,invece, che fuori c'é un sacco di gente?”
Mi fa
tenerezza pensarci. E' cosí bello, il terrazzino, fuori. Di colpo mi
sembra incredibilmente triste doverci rinunciare a beneficio della
tranquillitá.
“Ok,
vi aspetto qui.”
“C'é
un matrimonio...”, affermo stupidamente indicando col braccio
fuori.
“Giá,
por eso. Troppo casino. Ohhh, allí está!”
Ci
congediamo, lasciandolo alle persone a lui care. Un saluto veloce cui
segue un “Muchísimas, muchísimas gracias, eh?” urlato in
direzione mia e di Celine. “De nada!”. E il sole ci sorprende,
sempre piú inclemente, fuori. Ah, sí: dovevo guardare di chi era il
sms.
Entrare
al concerto di Lorca si rivela un' impresa piú complicata del
previsto. Non che non fosse previsto, del resto. Perché, dai,
parliamoci chiaro: non si puó organizzare uno spettacolo con posti a
sedere e non numerare le sedie. Non se tale spettacolo é di qualcuno
che piace (anche) alle ragazzine. Non se un paio di occhi azzurri
genera isterismi – e vi giuro che é vero – soprattutto nelle
over 40 dai gomiti appuntiti. Morale: le porte si aprono su di una
marea umana. Un piede sconosciuto calpesta i lacci delle mie
converse, rischiando di farmi capitombolare al suolo. Le seggiole in
plastica bianca iniziano a volare per tutto l'auditorio. Lanciate.
Scaraventate. Scambiate di posto di fronte all'impotenza degli uomini
della security. Alla transenna della prima fila, in cui una fanatica
in ansia di rissa mi riduce a sardina in scatola, scelgo per una
volta il posto dietro. Tanto Celine é piccolina. Vedo alla grande.
Dani mi vedrá. E almeno circola l'aria, grazie al cielo. Se non
altro, da qui riesco a saltare.
Sopravvivo,
non so come. Sono incazzata, accaldata, un po' delusa
dall'organizzazione. Eppure, come sempre accade, i concerti piú
sofferti sono quelli che ti godi di piú. Sará che eravamo tutti
assieme. Cantare “María la portuguesa” a squarciagola ha piú
senso , se lo fai in gruppo. E le occhiate divertite a commentare
brani e gesti, le risate, le coreografie che improvvisiamo...non c'é
prima fila in solitudine che riesca a equiparare tutto ció. O forse
sará, invece, che Lorca era il mio ultimo concerto “grande”. Ne
avvertivo la responsabilitá mentre lo trasformavo in festa. Mentre
di ogni singolo brano facevo riassunto di vicende vissute. E persino
Dani, in qualche modo, sembrava saperlo. Lui, che per metá concerto
mi ha guardata negli occhi. Lui che ha regalato gesti in tutte le
canzoni che in questi due anni hanno significato qualcosa per me.
Eres.
Io che allungo il braccio ad indicarlo dicendo che “quiero volar
contigo”. Lui che fa lo stesso. E poi lo ripete, in occhiolino, anche
nel ritornello successivo. Eres, come la prima fila nervosa al Teatro
Coliseum di Madrid.
La
Suerte de Mi Vida. L'occhio strizzato a fine canzone. La canzone con
cui tante volte m'ha fatta sentire speciale .A Rivas, per esempio. A
Valencia. A Zaragoza durante las fiestas del Pilar.
Aunque
tú no lo sepas. Che, come al Palau de la Música di Barcellona, quel
“cada día más flacos” lo fa misteriosamente sorridere guardando
me. Io che, invece, sono piú che altro ingrassata. E che, perció,
resta un messaggio difficile da decodificare.
Mira
la Vida. Perché mai come questa volta “vuelve y te sorprende” .
Anche se indicarmi in “que sin mí tú ya no eres” suona giusto
un filino inquietante. Per dire.
Aquellas
Pequeñas Cosas. La canzone che ho riscoperto in quest'ultimo
periodo. La canzone che applico un po' a tutta la mia vita. La
canzone su cui mi regala un altro sorriso.
Il
sipario, metaforico, si chiude. Ora mi resta il concerto privato. Il
modo migliore di congedarsi. La fine del tour perfetta con la canzone
che ho in mente di richiedergli. E , come cornice, la cittá dove
tutto é cominciato. Resta un capitolo solo. Un capitolo bello, ne
sono certa. Poi – e lo faró! - dovró trovarmi qualcos'altro che mi sappia entusiasmare.
Nel 2014 compiró trent'anni, dannazione!
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mercoledì 16 maggio 2012
On the road, destinazione Lorca.
(Continua da qui )
Abbandono le chiavi sul bancone deserto della reception. Semi oscurità alle sette del mattino, e il tizio della pensione, finalmente, sembra dormire un po'. Personaggio peculiare, di quelli che meriterebbero un post a sé stante. Latinoamericano. Colombiano, azzarderei. Passa le sue giornate col pc sulle ginocchia , parlando a voce alta con la sua donna su skype. C'è anche un bimbo piccolo: a volte lo si sente piangere al di là dello schermo, la voce resa un po' metallica dai bytes. Un uomo gentile: ti porta la valigia in camera, storce l'antenna del router nel vano tentativo di amplificarti il segnale. Ti chiede ottocento volte al giorno se hai bisogno di qualcosa. Ma il punto è che la pensione la gestisce lui da solo. E la reception aperta 24 ore mi spinge a dubitare che sia veramente umano.
Comunque. Cartagena-Mazarrón- Lorca: ecco il vero viaggio On The Road. Ché, dopo la sosta a casa di Inma, scopriamo che l'autobus diretto, la domenica, non passa mica. Tocca prenderne uno per Aguilas, per niente gradito all'ensaimada della colazione. La strada é di montagna: tornanti, andanti e conati trattenuti. Molti, peraltro. Carnagione sempre piú tendente al verde, quasi volesse mimetizzarsi con l'ambiente esteriore. “Quando siamo arrivati?”, mi ripeto nella testa come una bambina capricciosa. E quando, alla fine, arriviamo davvero, scopro che il treno per Lorca passa appena tra due ore. Meno male che Sergio ci tiene il posto in fila. E meno male, soprattutto, che c'é un chiringuito sulla spiaggia. A dirla proprio tutta, io resterei pure qui.
Ci arriviamo verso le quattro, al Recinto Ferial di Santa Quiteria. Passiamo accanto a numerose rovine che non vedo del tutto, stremata come sono dalla fame. Facciate come maschere, tristi negli occhi vuoti di finestre dietro cui non c'é alcunché. Il sole é inclemente, sulle distese d'asfalto. Su un posto che dev'essere stato bello, sí, si vede che lo era. Un castello, qualche edificio antico. E un camioncino col megafono da cui qualcuno urla “esta noche, Dani Martín”.
Cosí, come recita il galateo delle file, lasciamo che Sergio vada a farsi la doccia. Ha prenotato una stanza in un hotel a pochi metri da lí. Un albergo a quattro stelle che l'aveva attirato con prezzi speciali. Ce ne parlava da giorni: “40 euro la doppia”, un'occasione che di certo non poteva lasciarsi scappare. Quello che nessuno di noi aveva calcolato é che gli hotel del tour erano stati prenotati tempo addietro. Prima. Molto prima. Prima che Dani sapesse che sarebbe dovuto partire per gli States.
La Luna Piena mi ascolta sempre, questo é. E allora Sergio, uscendo dal suo hotel, incontra Dani Martín per puro caso. Lui, in quell'hotel, ci sta entrando. “Voy a hacer una siesta”, gli dice. Che poi é proprio il tempo che ci vuole per sistemarsi il trucco e bere una Coca Cola fresca nel giardino esteriore. Lí, dove gli invitati di un matrimonio si accalcano in progressione: sfilata d'abiti in eccesso eleganti, tanto da sembrare a volte quasi volgari. Con Mar e suo padre chiacchiero del mio erasmus. Ci metto troppa foga, come sempre. Tanta da metterle voglia di partire. E intanto Iván esce dalla porta a vetri, diretto al furgoncino parcheggiato dietro di noi.
Mi vede e mi sorride come ad una vecchia amica: “Hola, buenas tardes!! Nos vemos luego” .
(...to be continued)
Quando parlavo di viaggio “on the road” mi riferivo, più che
altro, alla successione di trasporti via terra che dall'aeroporto di
Alicante m'avrebbe condotta a Cartagena. Definizione applicata al
tragitto sbagliato. Chè i kilometri, a volte, mentono in facilità.
A mia discolpa, Lorca sembrava vicina.
Abbandono le chiavi sul bancone deserto della reception. Semi oscurità alle sette del mattino, e il tizio della pensione, finalmente, sembra dormire un po'. Personaggio peculiare, di quelli che meriterebbero un post a sé stante. Latinoamericano. Colombiano, azzarderei. Passa le sue giornate col pc sulle ginocchia , parlando a voce alta con la sua donna su skype. C'è anche un bimbo piccolo: a volte lo si sente piangere al di là dello schermo, la voce resa un po' metallica dai bytes. Un uomo gentile: ti porta la valigia in camera, storce l'antenna del router nel vano tentativo di amplificarti il segnale. Ti chiede ottocento volte al giorno se hai bisogno di qualcosa. Ma il punto è che la pensione la gestisce lui da solo. E la reception aperta 24 ore mi spinge a dubitare che sia veramente umano.
Comunque. Sgattaioliamo via, dirette alla stazione dei bus. Le gambe
ancora provate dalla sera prima. Era bello, El Batel. E non soltanto
per il bar con vista al mare. Corridoi futuristici, dentro,
conducevano a una sala troppo densa di fumo. Sedie di design
arancione, anteprima di un'acustica tra le migliori mai sentite in
questo tour. Non avevo molto tempo, per raggiungere il mio seggiolino
in fila cinque. Tra pochi minuti sarebbe cominciato lo show. Ma il
banchetto del merchandising era vuoto. I bracciali, tanto agognati,
in bella mostra davanti ad Iván.
“Uuuuuuhhh, las pulseritaaas!”, non avevo
potuto evitarmi di urlare. E quando dico “urlare” intendo
bloccarmi di colpo, iniziare a saltellare sul posto come un
bambolotto a molla e bloccare l'afflusso di gente perplessa che mi
segue. S'era messo a ridere, Iván. Sapeva della mia strenua ricerca.
“Por fin”, rispondevo a mia volta divertita mentre me ne
consegnava due.
Bello,sí, il concerto di Cartagena. Da ricordare
per la sciarpa dell'Atletico Madrid, con cui Dani prolungava i
festeggiamenti sportivi. Per il coro di “Puede Ser” cantato fuori
repertorio, improvvisato dal pubblico. Gesto d'affetto in grado di
inumidirgli gli occhi d'emozione. Da ricordare, perché no? Anche per
quel sapore agrodolce di fine imminente, racchiuso in ringraziamenti
un po' da Oscar, ricordi, e parole d'affetto nei confronti di due
anni meravigliosi. Un concerto a cui lui non m'ha vista, ma a me
bastava sapesse che c'ero.
Comunque. Cartagena-Mazarrón- Lorca: ecco il vero viaggio On The Road. Ché, dopo la sosta a casa di Inma, scopriamo che l'autobus diretto, la domenica, non passa mica. Tocca prenderne uno per Aguilas, per niente gradito all'ensaimada della colazione. La strada é di montagna: tornanti, andanti e conati trattenuti. Molti, peraltro. Carnagione sempre piú tendente al verde, quasi volesse mimetizzarsi con l'ambiente esteriore. “Quando siamo arrivati?”, mi ripeto nella testa come una bambina capricciosa. E quando, alla fine, arriviamo davvero, scopro che il treno per Lorca passa appena tra due ore. Meno male che Sergio ci tiene il posto in fila. E meno male, soprattutto, che c'é un chiringuito sulla spiaggia. A dirla proprio tutta, io resterei pure qui.
Ci arriviamo verso le quattro, al Recinto Ferial di Santa Quiteria. Passiamo accanto a numerose rovine che non vedo del tutto, stremata come sono dalla fame. Facciate come maschere, tristi negli occhi vuoti di finestre dietro cui non c'é alcunché. Il sole é inclemente, sulle distese d'asfalto. Su un posto che dev'essere stato bello, sí, si vede che lo era. Un castello, qualche edificio antico. E un camioncino col megafono da cui qualcuno urla “esta noche, Dani Martín”.
Non avrei pensato di poterlo rivedere. In fondo si
sapeva, che quella notte stessa sarebbe ripartito per Madrid. Un volo
per gli States l'avrebbe portato a duettare con Tony Bennet, non
aveva alcun senso che si fermasse a dormire. Ma in fondo era
sorprendermi, ció che avevo chiesto alla Luna Piena.
Cosí, come recita il galateo delle file, lasciamo che Sergio vada a farsi la doccia. Ha prenotato una stanza in un hotel a pochi metri da lí. Un albergo a quattro stelle che l'aveva attirato con prezzi speciali. Ce ne parlava da giorni: “40 euro la doppia”, un'occasione che di certo non poteva lasciarsi scappare. Quello che nessuno di noi aveva calcolato é che gli hotel del tour erano stati prenotati tempo addietro. Prima. Molto prima. Prima che Dani sapesse che sarebbe dovuto partire per gli States.
La Luna Piena mi ascolta sempre, questo é. E allora Sergio, uscendo dal suo hotel, incontra Dani Martín per puro caso. Lui, in quell'hotel, ci sta entrando. “Voy a hacer una siesta”, gli dice. Che poi é proprio il tempo che ci vuole per sistemarsi il trucco e bere una Coca Cola fresca nel giardino esteriore. Lí, dove gli invitati di un matrimonio si accalcano in progressione: sfilata d'abiti in eccesso eleganti, tanto da sembrare a volte quasi volgari. Con Mar e suo padre chiacchiero del mio erasmus. Ci metto troppa foga, come sempre. Tanta da metterle voglia di partire. E intanto Iván esce dalla porta a vetri, diretto al furgoncino parcheggiato dietro di noi.
Mi vede e mi sorride come ad una vecchia amica: “Hola, buenas tardes!! Nos vemos luego” .
Di fronte all'aumento di un'ignara folla alticcia,
suggerisco ai miei compagni di avventura che forse – e dico forse –
sarebbe meglio entrare.
(...to be continued)
martedì 15 maggio 2012
Le sorprese di Cartagena.
Missione compiuta,
decisamente. Ché ho iniziato a
sorprendermi ancor prima di partire. E' successo quando Dani Martín
ha pubblicato la domanda su twitter. Quella che sarebbe valsa il
Grande Premio. Meglio, il Grande Sogno di qualunque fan. “Inviate
alla mail che vi daró data e luogo di tutti i concerti dei tour
Pequeño e
Pequeños Teatros che
ho dato in Spagna, ma fuori dalla Penisola”. I tre piú rapidi a
rispondere in modo corretto si sarebbero aggiudicati un biglietto
ciascuno. Un biglietto per due, cioé. Sei in tutto, a completare gli
altri sorteggiati ad uno show. I tre piú rapidi, in definitiva,
avrebbero assistito ad un suo concerto privato per sole 12 persone in
studio di registrazione. Lí avrebbe cantato le canzoni che i
presenti avessero richiesto. E, poi, avrebbe pure offerto loro un
aperitivo. Tre possibilitá su piú di cinquecentomila persone.
Vincere la lotteria senza giocarla – lo sapevo – era
statisticamente di gran lunga piú probabile. Ma viaggiare tanto m'ha
reso un'esperta in geografia. E qualcuno mi ha detto un giorno che,
se visualizzi ció che vuoi, l'Universo complotta per fartelo
ottenere. Vi diró una cosa: é vero.
E' che , vedete, ci sono due concetti che questo viaggio mi ha ricordato:
Il primo é che, se non ti aspetti niente, vivi meglio e t'emozioni di
piú. Il secondo é che della Luna piena mi posso fidare. Lei é
sempre in ascolto, quando chiudo gli occhi e le sussurro qualcosa.
“Sembra
di stare all'Universitá dopo un esame”, avevo scritto allora dopo
aver premuto invio. “Tutti a confrontare le risposte; tutti a
chiedersi se sia andata bene”. Quello che tacevo é che sono sempre
stata una secchiona. Scrivevo male, okay, ordine scarso e calligrafia
penosa. Ma i contenuti c'erano. E, per qualche ragione, sapevo che
questa volta non sarebbe stato diverso. Lo sapeva la mia assurda
calma, all'invio della mail che sapevo corretta. Prima che Dani
scrivesse “suerte”. Prima ancora che avvertisse di leggere bene.
Le mani mi tremavano, mentre l'adrenalina sfumava piano in una
piacevole stanchezza mentale. L'indomani, il nome di Maria sulla mia
casella di posta non faceva che confermarmi che non gioivo invano.
Sono bastate le prime parole: “sei una delle fortunate vincitrici”.
Le ho lette, e sono corsa fuori urlando, a informare me stessa, la
mia gatta, e tutti quanti i vicini. Non avevo mai prenotato un volo
cosí in fretta. Non avevo mai fatto la valigia con cosí poca
concentrazione. E a Cartagena , allora, ci sono approdata tranquilla.
Non importava se l'avessi visto o no. Non doveva essere per forza
speciale, perché non era piú la fine del mio tour. In fondo, il
concerto privato non me l'avrebbe tolto nessuno. E, prima ancora di
rendermene conto, avevo giá ritrovato la passione che cercavo.
Trentacinque
gradi. Il sole che colora il mio naso d'un rosso pomodoro quasi
fluorescente, e una cittá inaspettatamente fantastica che ben si
riassume nelle foto del mattino. Avevo fatto colazione intingendo una
quantitá esagerata di churros nel cioccolato denso e tiepido di una
cioccolateria artigianale vista mare. Avevo guardato un pavone
lisciarsi la coda nel giardino di un castello ben curato. E ancora
riso, riso molto, prima di scoprire quale fosse il suo hotel.
Due
taxi. Il nostro preso di corsa, tra gli sguardi perplessi di un
conducente giovane. “Mi pare che abbiate fretta, no?”. E poi il
fiatone si calma, al bordo di un marciapiedi in mezzo al nulla. Un
hotel quattro stelle contrasta con la cornice di case popolari. E,
mentre le monetine del resto riempiono in progressione (troppo!)
lenta le mani di Celine, ho la bella idea di girarmi verso destra.
Dal furgoncino parcheggiato accanto, Iñaki ci guarda con espressione
tra il curioso e il vagamente divertito. “Ehi, guarda un po' chi
c'é!!”.
Scendiamo
a ricongiungerci con Sil, Laura ed Inma, giusto in tempo per sentirle
dire “Vamos con ellas”. Un saluto a ciascuno dei musicisti. L'in
bocca al lupo per il concerto della sera. I “muchas gracias chicas”
prima di partire per l'imminente soundcheck. E noi restiamo lí,
ferme in un sottile raggio d'ombra, ad osservare le sagome al di lá
del vetro oscuro della hall. Lo riconosco subito, quando scende. Dal
modo in cui abbraccia un suo amico. Dalla camicia in jeans che tanto
ama. Dalla siluette. Lo riconosco, insomma, e basta. Ma continua a
sorprendermi il modo in cui, adesso, tutto ció mi sembri naturale.
Dani
ci raggiunge in poco meno di un minuto. “Hola chicas!”. Due baci
a tutte. Poi mi si avvicina e mi abbraccia a mia volta, stringendomi
un po' piú forte per qualche secondo in piú. La sua mano sulla
schiena e come sempre, dimentico tutto. Le paranoie che mi faccio
quando non mi risponde su twitter. La sensazione stupida che possa
indispettirsi per qualcosa che ignoro. Naaa. Ancora una volta é il
suo calore, la risposta. L'affetto che, per quanto una persona possa
essere brava a fingere, non si puó occultare dagli occhi e dai
gesti. Il suo profumo mi avvolge in una nube di benessere.
S'appiccica ai capelli, facendone un feticcio che un po' tutte
annuseremo mezz'oretta piú in lá.
“Ilaria,
cómo estás? Ah, por cierto, felicidades!”
Ci metto un po' a capire a che cosa si riferisca. Non é il mio compleanno. Non mi sono sposata. Non ho trovato un lavoro serio. Non... poi ricordo: il concorso! Il concerto privato!
“Muchas
gracias! No sé por qué, pero te juro que sabía que ése lo iba a
ganar”
“E'
che la gente ha fatto un gran casino. Dopo di te, che sei stata la
prima, sono arrivate 800 mails, tutte di colpo, e tutte sbagliate.
Gente che scriveva del Messico, di che so io cosa....un caos! E' che
la gente, pur di essere rapida, non ha letto bene.”
“Aspetta,
aspetta: sono stata LA PRIMA?!”
“Sí,
la primissima.”
Lo
dice con tanta naturalitá che non sembra neanche una cosa
eccezionale.
“Dios
míos, qué honor!”
Mi
sorprendo a rivivere la scena nella mente, in base a ció che dai suoi racconti capisco sia successo. Che faccia puó aver fatto quando ha
visto il mio nome sulla prima risposta ricevuta? Quando tre minuti
dopo giá sapeva (e a me l'ha detto dopo un giorno, mannaggia!) che
avremo preso un aperitivo assieme? E poi tutti quei pasticci
concomitanti nell'improvvisata casella di Gmail...d'un tratto capisco
perché avesse scritto di “leggere bene”. Perché poi, di fronte
a partecipazione esagerata, avesse rimandato l'annuncio dei
vincitori, affidando alla sua agenzia quel compito un po' ingrato. Mi
viene da ridere. Specie perché, quando aveva annunciato che il
concerto sarebbe stato per 12 persone anziché per 10, io gli avevo
risposto “ovvio, perché due biglietti in piú sono per me”. Anche se il
tono era scherzoso, ora quella risposta fa venire i brividi un bel po'.
“Che
caldo avete qui, no?”, cambia poi argomento.
“Demasiado”,
é l'urlo di risposta corale.
“...E
io in maniche lunghe! E' che le temperature son cambiate tutto di
colpo, da un giorno all'altro!”
“E'
perché sono arrivata io!!”, non riesco a trattenermi dal dire, con
una voce un po' piú stridula di quanto vorrei. Lui si mette a
ridere.
“Quando
sei arrivata, Ilaria?”
“Mercoledí.”
Si
ferma a pensare per qualche secondo.
“Cioé
l'altroieri?”
“Mmm...sí
, in effetti. L'altroieri. Non ci capisco piú niente nemmeno io coi
giorni!”
“E come sei organizzata? Ti fermi solo per il concerto e poi riparti?”
Mentre cerco di mettere ordine ai miei piani confusi sotto un sole sempre piú inclemente, Inma arriva in mio soccorso.
“No,
viene anche domani a Lorca. Le ospito tutte a casa mia!”
“Davvero?
Si fermano tutte a dormire da te? Qué guay!”
Mentre si ferma a parlare con altre tre ragazze sbucate da non so dove (forse un'auto, in effetti) cerco di ricordarmi quali erano le domande che avevo pensato di volergli fare. Ah, ecco, sí!
“Dani, escucha, habías...”
Si
volta a guardarmi cosí intensamente negli occhi che mi blocco di colpo, e per un momento
mi trema la voce.
“..ehmm, dicevo: avevi poi ascoltato il cd che ti avevo regalato?”
“Hombre,
claro que lo escuché! L'ho fatto ascoltare anche ad Iñaki, é
piaciuto un sacco pure a lui. Aaah, e ho ascoltato anche il singolo
nuovo di Cesare, che mi avevi passato. Me encanta!”
Certo
che se mi legge potrebbe anche rispondermi, peró. Ah, gli uomini: popstar o
no, sottovalutano tutti l'importanza di un riscontro per vie
tecnologiche. Comunque, sono troppo felice per addurre stupide
lamentele infantili. Anche perché mi tratta in modo davvero troppo dolce per
potersele anche lontanamente meritare. Sí, a me é soltanto la distanza,
che mi frega in paranoie.
“L'hai
ascoltato? E' che te l'avevo passato ma non sapevo se poi l'avessi
visto o...beh, comunque, sono contenta che ti piaccia.”
Lo so,
é un intervento stupido: manco l'avessi composto io. Ma , a mia
discolpa , continua a fissarmi. E continuano ad esserci anche trentacinque gradi.
“Ma
é uscito solo il singolo per il momento, vero? O anche l'album?”
“No,
no, solo il singolo! L'album esce il 22 del mese!”
“Ah
perfetto!”
Altre
due chiacchiere con le nuove arrivate, foto di rito, e giá se ne
deve andare. Non senza prima chiederci, peró, se per caso ci
servano biglietti per stasera. Ed é giá solo la domanda, a dire
tutto di lui. “Hasta luego chicas!”, “Buon concerto!”.
Il
taxi del ritorno ci scarica a El Batel, dove la gente giá si accalca
davanti agli specchi dell'entrata. Lá, dove soltanto il giorno prima
una famigliola inglese guardava il cartello di programmazione. “Déni
Mártin”, diceva “ tomorrow...maybe we could buy tickets”. E io
mi ero sentita orgogliosa. Ecco. Ecco un'altra cosa che mi sono scordata di
dirgli. Dovrei prendere appunti, accidenti a me.
(To be continued...)
martedì 8 maggio 2012
Going to...Murcia, piú o meno.
Ero già in aereo, quando
l'ho saputo. Seduta sull'astuzia scomoda di Ryan Air. Sull'idea
economicamente perfetta di farci effettuare l'imbarco dopo circa
un'ora di ritardo dichiarato. E poi, soltanto poi, solo una volta
allacciate le cinture, annunciare che la torre di controllo li ha
obbligati a un'altra ora d'attesa. Dicevano fosse una decisione
dell'ultimo minuto, certo. Solo che a pensar male quasi sempre ci si
azzecca. E a me nessuno toglie dalla testa che con un ritardo di due
ore hai diritto a rimborsi e lamentele. Un ritardo di due ore
sull'entrata in aereo, però. Studiare comunicazione aiuta a essere
bravi nel fregare la gente. Guardare serie di avvocati fa il resto.
Tra le postille in corpo 5 a bordo pagina e la mia insofferenza da
eccessi di calore areoportuale, nonostante tutto, io
li avrei applauditi davvero.
Comunque.
Me ne stavo lì, a dare
calci alla mia borsa nel tentativo inutile di allungare le gambe un
po' di più. L'aeroporto di Bologna già iniziava a sprofondare in un
primo abbozzo di oscurità. E me l'ero chiesta, in effetti, da cosa
dipendesse. Insomma, erano tutti in ritardo: Iberia, Ryan Air...
Strano. Sì, strano. Però non sufficiente ad angosciarmi, ancora.
Che ciò che a me seccava, più che altro,era posporre ulteriormente
il mio re-incontro con Madrid. Pensavo al concerto a cui sarei andata
il giorno dopo . Alle ore di fila che – allora non lo sapevo –
m'avrebbero ridotto il volto a un pomodoro. Volevo i miei abbracci,
il mio posto nel mondo, la mia ulteriore chance di sentirmi speciale.
Ed era solo a questo che pensavo.
Solo che poi, seduta
accanto a me sul boeing fermo in pista, una coppietta già isterica
ha estratto l'iphone. La ricordo come fosse ieri, la voce stridula di
lei, mentre leggeva ad alta voce le notizie sullo schermo. “Ma
possible che capiti sempre a noi? Andiamo ad Haiti e succede quel
casino, andiamo in Spagna e guarda tu!”. Ho pensato immediatamente
di voler cambiare posto. Che magari portavano un po' sfiga, per dire.
Ma intanto un terremoto aveva raso al suolo una località murciana. E
il concetto di “sfiga” in certe circostanze, credo di doverlo
rivalutare un po'.
E' passato un anno, da
allora. E il mio tour personale si concluderà adesso proprio in
quella città devastata. Lì, a Lorca, Dani Martín
fará un concerto benefico. Il mio biglietto, il mio denaro, varrá
un mattone del teatro che la natura ha reso impraticabile allo show.
O magari le fondamenta di una scuola, chissá. Forse il cornicione di
una finestra oltre cui una ragazza guarderá, domani. Chiamatemi
melensa. Peró mi piace un sacco, l'idea di chiudere un ciclo cosí.
Tutto
questo per dirvi che domani parto. Non ho grosse aspettative, da
questo viaggio. Né voglio averne. Non saró in prima fila.
Probabilmente, Dani, non lo vedró nemmeno. Forse mi importa piú di
quanto dovrebbe. O forse, in altri sensi, non mi importa granché.
Quello che mi aspetto é solo prendere il sole sulla spiaggia di
Cartagena. Vedere dal vivo quella cattedrale bellissima che giá mi
aveva affascinata a lezione di storia dell'arte spagnola. Mi aspetto
di visitare un posto nuovo, di rivedere vecchie facce, di conoscere
di nuove. Mi aspetto due concerti emozionanti, e poi mi aspetto una
Paella a Valencia prima di tornare a casa. Mi aspetto che con i miei
soldi mettano davvero quel mattone.
Il
resto? Beh, il resto, se verrá, sará tutto regalato. Perché
viaggio alla ricerca della capacitá di sorprendermi. Ed é solo se
non ti aspetti niente, che la puoi davvero trovare. Ci si rilegge
Martedí.
domenica 6 maggio 2012
Canzoni per congedare un tour.
Non
è un mistero per nessuno: la settimana
prossima, a quest'ora, mi sarò già congedata. Da Dani Martín,
dall'odore di Angel appiccicato ai capelli, dalle pensioni
economiche e i check in online di Ryan Air. Da due anni – due
lunghi, agrodolci anni - della mia vita vissuti a fasi alterne dentro
a un tour. Non lo dico con amarezza, sia chiaro. Certo, sono
tantissimi i ricordi belli, ma é anche tanto, ultimamente, lo
stress. Quel che piú mi ci vorrebbe, adesso, é un cocktail con le
amiche di sempre. E' stare sedute al tavolo di un bar, come ai vecchi
tempi, a raccontarci le novitá del mese. Lontane per un attimo da
quelli che ti chiedono “tu che fai nella vita?”. Da tutta
l'insopportabile frustrazione che quella domanda innocente porta
sempre con sé. Quel che piú mi ci vorrebbe, lo so bene, é voltar
pagina. Non per sempre, per caritá. Giusto il tempo di leggere un
capitolo diverso. Di prendere un po' fiato da invidie, isterismi e
ipocrisie. Che poi ne ho di progetti, per il “dopo”! Ne ho fin
troppi, tra ospiti da accogliere e posti da visitare. Ho altri
concerti da vedere, questa volta senza varcare i confini. Ho eventi
da organizzare, appuntamenti da rispettare, ho persino un pezzo tutto
da ballare.
Ma
prima c'é quest'ultimo viaggio. Cartagena. Lorca. Valencia. E se
dev'essere un congedo, allora che sia col botto. Due anni sono
troppi, per non salutarli con i fuochi artificiali. Per cui, ecco, io
a questo tour voglio iniziare a rendere onore sin da ora. Lo faccio
imbastendo una playlist nuova di zecca. E, ancora una volta, chiedo
il vostro aiuto.
Sí,
insomma: sto cercando di raccogliere tutte le canzoni che parlino
della vita del tour. Brani che raccontino i concerti, e tutto quello
che attorno ad essi gira.
Questi
sono, fino ad ora, quelli che ho inserito io. Potete ascoltarli
premendo il tasto play. Peró ne voglio altri. Ne voglio tanti. Ne
voglio ancora. Ne conoscete? I commenti sono tutti per voi.
1. Días Extraños - Donde muere el escenario
2. Ligabue- tra palco e realtá
3. Love of Lesbian - Club de fans de John Boy
4. Pereza - 4 y 26
5. Intoxicados - Quieren Rock
6. Baustelle - Groupies
7. Pereza - Grupis
venerdì 4 maggio 2012
Venerdí...Empanadillas de Atún e Cinema Spagnolo!
Poi, magari, dirlo non fa tanto “Gourmet”. Però credo sinceramente che le empanadillas surgelate del Mercadona siano una delle meraviglie gastronomiche mondiali. L’assenza del mio supermercato preferito su suolo italico (allegasi sospiro affranto) m’obbliga, tuttavia, all’alternativa più sana: insegnarvi a prepararle a casa.
P.S: la modalità succinta della premessa non dovrebbe esservi fonte di preoccupazione. Davvero, sto bene. Ho solo i neuroni stremati da una schizofrenia digitale che comunque – lo ammetto – mi piace un casino. Ricordate che parlavo di una collaborazione esaltante, qualche post addietro? Beh, visto che il mio nome appare anche sul sito, credo di potervi ormai dire di più. Il fatto é sto facendo provvisoriamente da community manager a CinemaSpagna, il Festival di Cinema Spagnolo a Roma. (Coro di “oooooh!”) Quindi, per inciso, se voleste seguirmi-ci-vi-si su Facebook e Twitter…io ne sarò felice, ecco. E poi, dai! A parte tutto, un’evento più italo-spagnolo di quello mica è facile da trovare! O no?
EMPANADILLAS DE ATÚN
Ingredienti per 6 Persone:
Per la pasta:
500 g. di farina bianca
Vino bianco secco
Olio extravergine d’oliva
Burro
Zucchero semolato
Sale
Farina bianca per la spianatoia
Per il ripieno:
5 scatole di tonno
6 uova
Passata di pomodoro q.b
PREPARAZIONE
In una ciotola raccogliete la farina, un cucchiaio di vino, uno di olio, uno di zucchero e uno di burro fuso e freddo. Iniziate a impastare il tutto aggiungendo poco per volta dell’acqua tiepida, in modo da ammorbidire la pasta. Formare una palla e riporla in frigorifero per 30 minuti.
Nel frattempo, mettete le uova a cuocere fino a farle diventare sode. Una volta pronte, levate la scorza e tagliatele a quadratini. Scolate l’olio delle latte di tonno, e unite il tonno alle uova in una terrina. Aggiungete a poco a poco la passata di pomodoro, in quantità a piacimento (ma senza esagerare:il sapore predominante dovrebbe essere quello del tonno) e lasciate riposare il tutto.
Passata la mezz’ora, estraete la pasta dal frigorifero, stendetela su di una spianatoia leggermente infarinata e ricavatene 12 dischetti. Farcite i dischi di pasta con il ripieno precedentemente preparato e chiudeteli a mezzaluna. Friggete le empanadillas in abbondante olio bollente e servitele calde. Buen provecho!
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